È estate, lo si nota subito. Il caldo secco e aspro, l’aridità desolante del paesaggio, il silenzio rotto esclusivamente dai rimbombi e rumori meccanici di ruspe e di camion si corrispondono metonimicamente con le diverse tonalità di giallo che invadono lo schermo. Un uomo di mezza età guida la sua macchina per le strade della polverosa periferia di Teheran arrampicandosi tra gli sterrati delle colline. Sembra girare a vuoto e in un certo senso è così. Non ha una meta stabilita, cerca qualcuno, non sa chi. Deve trovare un uomo che faccia un lavoro per lui: ha scelto di non voler più vivere, vuole morire ed è in cerca di qualcuno che lo seppellisca. Kiarostami non si spinge oltre nello sviluppo dell’intreccio, non è interessato alla storia personale del protagonista né tantomeno a svelare le ragioni nascoste dietro alla volontà ferrea di un gesto estremo nonché quasi inconcepibile nel religiosissimo e dogmatico Iran. Al contrario di quanto può emergere dalla sinossi, Taste of cherry non tratta di politica o di religione o almeno non in senso stretto; è certamente un film sul tema della morte ma soprattutto è un’opera che riflette sulla vita, sulla bellezza e meraviglia del mondo, sulle occasioni di riconoscerne la poesia e l’intima armonia. Attraverso un rigore essenziale e ascetico il realismo asciutto di Kiarostami si carica, forse come non mai, di un denso simbolismo; il campo lungo invita alla contemplazione dell’immagine, i canonici rapporti di significazione sono sacrificati in nome di una progressiva astrazione degli elementi e ogni movimento di macchina assume di volta in volta il senso di una meditazione filosofica, di un monologo interiore o di un haiku, la forma più pura della poesia contemplativa.


È estate, lo si nota subito. Il caldo secco e aspro, l’aridità desolante del paesaggio, il silenzio rotto esclusivamente dai rimbombi e rumori meccanici di ruspe e di camion si corrispondono metonimicamente con le diverse tonalità di giallo che invadono lo schermo. Un uomo di mezza età guida la sua macchina per le strade della polverosa periferia di Teheran arrampicandosi tra gli sterrati delle colline. Sembra girare a vuoto e in un certo senso è così. Non ha una meta stabilita, cerca qualcuno, non sa chi. Deve trovare un uomo che faccia un lavoro per lui: ha scelto di non voler più vivere, vuole morire ed è in cerca di qualcuno che lo seppellisca. Kiarostami non si spinge oltre nello sviluppo dell’intreccio, non è interessato alla storia personale del protagonista né tantomeno a svelare le ragioni nascoste dietro alla volontà ferrea di un gesto estremo nonché quasi inconcepibile nel religiosissimo e dogmatico Iran. Al contrario di quanto può emergere dalla sinossi, Taste of cherry non tratta di politica o di religione o almeno non in senso stretto; è certamente un film sul tema della morte ma soprattutto è un’opera che riflette sulla vita, sulla bellezza e meraviglia del mondo, sulle occasioni di riconoscerne la poesia e l’intima armonia. Attraverso un rigore essenziale e ascetico il realismo asciutto di Kiarostami si carica, forse come non mai, di un denso simbolismo; il campo lungo invita alla contemplazione dell’immagine, i canonici rapporti di significazione sono sacrificati in nome di una progressiva astrazione degli elementi e ogni movimento di macchina assume di volta in volta il senso di una meditazione filosofica, di un monologo interiore o di un haiku, la forma più pura della poesia contemplativa.


È estate, lo si nota subito. Il caldo secco e aspro, l’aridità desolante del paesaggio, il silenzio rotto esclusivamente dai rimbombi e rumori meccanici di ruspe e di camion si corrispondono metonimicamente con le diverse tonalità di giallo che invadono lo schermo. Un uomo di mezza età guida la sua macchina per le strade della polverosa periferia di Teheran arrampicandosi tra gli sterrati delle colline. Sembra girare a vuoto e in un certo senso è così. Non ha una meta stabilita, cerca qualcuno, non sa chi. Deve trovare un uomo che faccia un lavoro per lui: ha scelto di non voler più vivere, vuole morire ed è in cerca di qualcuno che lo seppellisca. Kiarostami non si spinge oltre nello sviluppo dell’intreccio, non è interessato alla storia personale del protagonista né tantomeno a svelare le ragioni nascoste dietro alla volontà ferrea di un gesto estremo nonché quasi inconcepibile nel religiosissimo e dogmatico Iran. Al contrario di quanto può emergere dalla sinossi, Taste of cherry non tratta di politica o di religione o almeno non in senso stretto; è certamente un film sul tema della morte ma soprattutto è un’opera che riflette sulla vita, sulla bellezza e meraviglia del mondo, sulle occasioni di riconoscerne la poesia e l’intima armonia. Attraverso un rigore essenziale e ascetico il realismo asciutto di Kiarostami si carica, forse come non mai, di un denso simbolismo; il campo lungo invita alla contemplazione dell’immagine, i canonici rapporti di significazione sono sacrificati in nome di una progressiva astrazione degli elementi e ogni movimento di macchina assume di volta in volta il senso di una meditazione filosofica, di un monologo interiore o di un haiku, la forma più pura della poesia contemplativa.

TASTE OF CHERRY 1997

۱۹۹۴نمای نزدیک